Se per Adler, a dire il vero assai banalmente, il sonno senza sogni può anche essere provocato da grande affaticamento, è interessante invece quanto afferma Federn, a sostegno della tesi del relatore, Schwerdtner, e cioè che il vero e proprio scopo del sonno è raggiunto solo nel sonno senza sogni.
In un articolo del 1936, dedicato espressamente all’interpretazione dei sogni, Adler riprende la questione del sonno senza sogni in modi che nulla hanno a che vedere con le affermazioni rese trent’anni prima al tempo della militanza psicoanalitica.
Nella circostanza Adler sembra ascrivere l’assenza di sogni essenzialmente a quattro motivi. Il primo riconduce tale assenza alla tipologia del sognatore o, meglio, del non sognatore. Per Adler esistono uomini, e sono gli uomini coraggiosi, gli uomini capaci di affrontare con realismo la vita, che hanno meno bisogno di sognare degli altri.
Ovviamente la tesi secondo cui gli uomini coraggiosi sognerebbero poco o non sognerebbero affatto è stata decisamente contestata. Può addirittura apparire puerile (e comunque assolutamente insostenibile in relazione ai risultati conseguiti dalle neuroscienze a partire dalla scoperta del sonno Rem), se non fosse che, come avremo modo di vedere più avanti, acquista un peso diverso una volta inserita, com’è giusto che sia, nel contesto delle concezioni dinamiche di Adler.
Qualora, però, decidessimo di accompagnare questa tesi di Adler ai suoi estremi esiti, ci troveremmo davanti a un paradosso. Infatti, dal momento che lo scopo del trattamento à la Adler è quello di accrescere il coraggio dei pazienti nell’affrontare la vita, i pazienti giunti al termine del loro percorso e divenuti coraggiosi (un equivalente laico dei virtuosi cristiani) non dovrebbero sognare più o comunque vedrebbero alquanto diminuita la loro quota di ricordo onirico.
A tale proposito vale la pena di riportare la tesi di Stekel secondo cui se, da una parte, ogni sogno ricordato è interessante, dall’altra ciò si deve al suo essere caricato di affetti nascosti. Non sarebbe ricordato il sogno, sostiene Stekel, se non fosse così carico di affetti nascosti. Il non esserci del sogno equivarrebbe, in altri termini, a un non esserci degli affetti, a un rimanere degli affetti nel nascondimento.
Se tutto potesse uscire dal nascondimento, se veramente potesse darsi una coscienza tutta dispiegata, allora, seguendo questa sequela di apertura totale, dei sogni non dovrebbe restare traccia.