Jacques Lacan - Giorgio Antonelli

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Jacques Lacan
(1901-1981)



Gli scritti di Lacan sono pubblicati nel 1966. I Seminari, luogo elettivo del suo insegnamento orale, e dunque del suo essere, propriamente, un maestro, sono in corso di pubblicazione, in numero di ventisei, a cura del genero J. A. Miller per conto dell'editore Seuil. In essi, nella loro sfuggente eppure corposa ricchezza, nel loro carattere di perpetuo rimando, eppure vicinanza, di un'esperienza di verità, si raccoglie una delle lezioni più vertiginose e ineludibili della psicoanalisi contemporanea.

L'Io non è padrone in casa sua, diceva Freud, ma i freudiani, in special modo gli psicologi dell'Io, hanno tradito il rivolgimento epocale del "cogito" cartesiano operato dal maestro, ristabilendo l'Io nei mistificanti domini d'un tempo, i domini dell'autonomia, della centralità, d'una relativa aconflittualità e dell'adattabilità… Tutto ciò rende necessario un ritorno a Freud, un ritorno ai testi originali di Freud, sostiene L., ma tale ritorno non può non confrontarsi in profondità con l'altro grande rivolgimento che caratterizza la cultura contemporanea, il rivolgimento operato dalla linguistica a partire dal Corso di linguistica generale di F. de Saussure.

Ora, la linguistica, a ben vedere, si costituisce anch'essa come luogo di messa ai margini dell'Io, messa ai margini che ci consegna la cifra caratteristica di quella corrente di pensiero nota col nome di "strutturalismo" e variamente rappresentata da autori come C. Lévi-Strauss, M. Foucault, L. Althusser e altri. Tale presa in cura della linguistica è tanto più necessaria se si pensa che l'inconscio, come sostiene L., è strutturato come un linguaggio e, inoltre, che Freud si comporta in tutto e per tutto da linguista.

Ma cos'è struttura? Struttura è un sistema generativo autonomo che preesiste all'esperienza del singolo, la determina, vi s'incarna. La proibizione dell'incesto, il complesso di Edipo sono, in questo senso, struttura. Se il linguaggio funziona sui due assi della presenza (piano sintagmatico) e dell'assenza (piano paradigmatico), ovvero secondo le figure retoriche della metafora (condensazione) e della metonimia (spostamento), tale funzionamento non dipende in alcun modo dall'operare del singolo. Lezione, questa, ricavabile anche da linguisti come F. Boas, E. Sapir, L. B. Whorf, e che la dice lunga sull'eccentricità costitutiva dell'esperienza umana.

Dello strutturalismo L. serba in pieno la cifra formalizzante. Un modo della formalizzazione lacaniana … è costituito dall'algoritmo S/s (= significante su significato, ovvero, con altri termini desaussuriani, "immagine acustica" su "concetto") dove la barra sta a dire la resistenza alla significazione, dal momento che l'ordine dei significanti (l'ordine, in altri termini, delle forme sonore) è distinto dall'ordine dei significati. In ragione di ciò l'"Io penso, dunque sono" di Cartesio, diventa con L. un "Io sono dove non penso".


…Nel soggetto (che per L. è soggetto barrato, ovvero attraversato da un discorso irriducibilmente altro) c'è un soggetto che trascende il soggetto. A esso egli si riferisce con l'espressione "ça parle", ovvero "c'è qualcuno che parla". Per L., come per M. Heidegger, è il logos che possiede l'uomo e l'Io è, essenzialmente, un Io parlato. Cosa starebbero altrimenti a dire i lapsus, gli atti mancati (e, dunque, riusciti), i sogni, se non che il significante è l'unico padrone? L'Io deve dunque costituirsi, avvenire come soggetto. L'iter che dall'Io porta al soggetto è l'iter dell'analisi stessa. In che modo avviene tale percorso di soggettivazione?


Se il linguaggio preesiste, è nel linguaggio che emerge la dimensione della verità, oltre che la stessa possibilità della cura. Per questo il sintomo viene letto da L. come ritorno della verità, come linguaggio la cui parola deve essere liberata.


Il ritorno a Freud significa allora il ritorno alla messa in questione della verità. Ora, L'Io per L. è in origine il luogo dei misconoscimenti, e ciò a partire da un riconoscimento, il riconoscimento della propria immagine allo specchio, evento situato in un tempo (tra i sei e i diciotto mesi) nel quale la propria immagine biologica viene confrontata da un'immagine intera di sé nella quale il Je (= il pronome personale nel quale è rappresentato il soggetto) si aliena, si oggettiva, diventando moi (= pronome personale complemento indicante l'Io contrapposto al soggetto, ovvero l'Io secondo il registro immaginario). Evento che viene sintetizzato da L. nella ripresa di una celebre frase di Rimbaud, il grande poeta simbolista dell'Ottocento: "Io è un altro". Ma Altro" (altro con la grande "a") è anche il nome con cui L. nomina l'inconscio, il pieno dispiegarsi del linguaggio.

Nello "stadio dello specchio" inizia la storia dell'Io e delle sue successive identificazioni secondo quel registro chiamato da L. "immaginario" che regola la relazione duale (originariamente la relazione madre-figlio) la quale si basa, appunto, sull'immagine dell'altro. Nel rispecchiamento duale madre-figlio, tuttavia, e nella loro attribuzione reciproca di desiderio (la madre ha il fallo, il figlio è il fallo della madre e dunque è il desiderio di lei, il desiderio dell'altro) manca la parola. La parola è portata dal padre (per L. il fallo, di cui il padre è detentore, è il significante primordiale da cui procedono tutti gli altri) e, nel nome del padre, nel quale registra la sua entrata nella vita del singolo l'ordine simbolico e con esso la legge, viene interdetto l'incesto.

La "forclusion" (in italiano "preclusione"), ovvero la definitiva rimozione del nome del padre costituisce, per L., il nucleo stesso delle psicosi. La follia deriva, in altri termini, da una mancanza di simbolizzazione, da una adesività all'immaginario, da un mancato accesso alla struttura triangolare dell'Edipo. L'interdizione paterna, significando la separazione del figlio dalla madre e, dunque, l'infrangersi della loro immaginaria pienezza, ingenera però una condizione di mancanza-a-essere, la cui falla il desiderio, messo in scena dalla Legge, mira perdutamente a colmare. Ma madre e figlio possono inchinarsi al nome del padre soltanto a condizione che il padre vi si sia a sua volta inchinato. Non il padre, infatti, è padrone, ma il significante.

Eppure il significante, dice L., non significa nulla, solo rimanda ad altri significanti. Il che implica dire che la verità non ha contenuti, ovvero che questi, i contenuti, appartengono al registro immaginario, decodificato il quale ci s'impone il nostro essere-per-la-morte. La pulsione di morte, sostiene infatti L., è soltanto la maschera dell'ordine simbolico che insiste per essere. In quest'orizzonte il desiderio non può appagarsi di oggetti (non essendo bisogno), né d'amore (non essendo domanda), il desiderio è "desiderio dell'Altro", desiderio di un altro desiderio, desiderio che l'altro riconosca il nostro desiderio.

 
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