Kerouac, Scrivere Bop - Giorgio Antonelli

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Pubblicazioni > Scritti psicoletterari
Recensione a:

Jack Kerouac, Scrivere Bop. Lezioni di scrittura creativa
(Milano, Mondadori, 1997)

(in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 42, Liguori, Napoli, 1997)




In questa raccolta di scritti, per la maggior parte inediti, si tratta anche di teoria della scrittura.

Si parla, ovviamente, di Lost Generation, di sua figlia la Beat, beatific, Generation e, anche, di bop, ma sono in particolare notevoli i contributi resi dall’autore di On the Road sulla dottrina e tecnica della prosa moderna e sui fondamenti della scrittura spontanea. Quanto poi alla questione se scrittori si nasce o si diventa Kerouac la risolve, romanticamente, osservando che il talento imita il genio perché non c’è nient’altro da imitare e che quanto Rembrandt o Van Gogh videro nella notte non può più essere visto. Acme dello specifico, dell’individuale.

Questo è la scrittura. E questo è la psicodinamica.

Nel primo breve scritto compreso nella raccolta Kerouac riassume in trenta punti il proprio pensiero sulla prosa moderna, ivi incluso un pronunciamento su quel vecchio tempomane di Proust. Sottomesso a qualsiasi cosa, aperto, in ascolto, recita il secondo punto. Sii innamorato della vita, gli fa eco il quarto (una trasposizione del sì di Nietzsche). Qualcosa di quello che senti troverà la sua forma, aggiunge il quinto.

E ancora parla Kerouac di fantasticare in trance sognando l’oggetto che si ha di fronte (e media da Yeats, ma con ipotizzabili ascendenze junghiane), di rimuovere le inibizioni letterarie, grammaticali e sintattiche (il corrispettivo della volontà rankiana), di raccontare la vera storia del mondo attraverso il monologo interiore (la tecnica che in Joyce e Virginia Woolf, in modi diversi, traduce il flusso di coscienza, espressione questa coniata dal filosofo e psicologo William James), di scrivere per se stessi nel ricordo e nello stupore (una sorta di sintesi di Platone e romantici inglesi), di accettare per sempre la perdita (una riconversione letteraria della fase depressiva kleiniana), di non aver paura o vergogna della dignità della propria esperienza (la nostra sensibilità individuale è il nostro genio, direbbe Baudelaire).

Ce n’è abbastanza per raccordarsi alla tecnica analitica. Anche se il termine “spontaneo” suona poco commestibile (così lo percepisce, ad esempio, e secondo me con ragione, Hillman). Una teoria della scrittura è una teoria psicodinamica.

 
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