Psicoanalisti emigrano - Giorgio Antonelli

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Gli psicoanalisti emigrano


L’emigrazione sembra connaturata alla storia della psicoanalisi, scorre nel sangue dei suoi rappresentanti e in quello della loro passione analitica. Mossa dagli eventi politici, certo (l’ascesa di Hitler al potere), ma anche da altro, da molto altro.


Emigrano ovunque, gli psicoanalisti, emigrano da ovunque. Si spostano dall’est europeo all’ovest, Gran Bretagna (è il caso, in particolare, di Melanie Klein, Freud e Balint), Francia, Svizzera, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Australia, Asia. Il sangue analitico è un sangue migrante. Alcuni psicoanalisti ritornano, ma la maggior parte rimane nei paesi acquisiti. Se il 1938 costituisce una sorta di picco emigratorio, sta di fatto che gli psicoanalisti hanno iniziato a migrare già da molti anni. Massiccia è a dir poco la diaspora ungherese. Come abbiamo visto essa coinvolge, a vario titolo, Brill, Lorand, Alexander, Rado, Therese Benedek, Edith Gyömröi, Róheim, Rapaport, Margaret Mahler, Spitz, Böszörményi-Nagy.



Spesso sono psicoanalisti europei già stabilitisi all’estero, in particolare negli USA, a invitare i colleghi europei a fare altrettanto. È il caso ad esempio, tra i tanti altri, di Therese Benedek invitata da Alexander a Chicago per succedere a Karen Horney. Senza ancora padroneggiare l’inglese Therese Benedek si trova in questo modo a condurre da subito delle analisi. Tra i suoi pazienti figurano Louis Shapiro, George Pollock, Gedo. La Benedek esercita una notevole influenza sulla generazione di psicoanalisti del secondo dopoguerra. Attraverso di lei si rafforza in questo modo anche una certa presenza di Ferenczi negli USA.



Ragguardevole anche l’emigrazione francese degli ungheresi che coinvolge, in particolare, Devereux e Grunberger. Grunberger si è formato con Hartmann, Loewenstein e Nacht.


Devereux, che raccoglie l’etnopsichiatrica, etnopsicoanalitica eredità di Róheim, è stato analizzato da Marc Schlumberger, allievo di Nacht e, a proposito di linea spirituale ferencziana, “pronipote” di Ferenczi” (via Laforgue, il suo primo analista, e Sokolnicka), uno che credeva nell’analisi laica e che vedeva il destino della psicoanalisi dipendere da donne non medici. Una prefigurazione, questa di Schlumberger, che avrebbe presumibilmente trovato in Ferenczi un qualche accoglimento. Si pensi infine, quanto a linea spirituale “francese” ferencziana, che uno dei primi a “riscoprire” lo psicoanalista ungherese, in tempi di misconoscimento, è stato Granoff, che con Schlumberger ha fatto analisi. Quanto agli altri psicoanalisti emigranti la lista coincide pressoché con la psicoanalisi stessa. C’è una linea spirituale della psicoanalisi. Spirituale e sanguigna.



 
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