Schizzi psicofilosofici - Giorgio Antonelli

Vai ai contenuti

Menu principale:

Pubblicazioni > Articoli
Schizzi genealogici psicofilosofici

                                                   

(in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2008)



Estratto


Rudolf Göckel (Goclenius) introduce nel linguaggio filosofico il termine psychologia. Oggetto della nuova disciplina è la perfezione dell’essere umano. L’essere umano perfetto è il filius philosophorum, alla cui produzione attesero gli alchimisti, ma anche il medico-filosofo di Ippocrate, l’essere simile al dio secondo il possibile di Platone e medioplatonici, il sapiente degli stoici, il vetero e neotestamentario voi siete come dèi, l’uomo pneumatico nonché oltrecristano degli gnostici e il suo corrispettivo (eretico) medievale uomo spirituale, l’essere uguali agli angeli di cui ha parlato lo gnostico riluttante Clemente Alessandrino, il santo del turno, di cui si fa questione nella letteratura islamica, l’uomo nobile di Eckhart e discepoli, il giusto che approda ai versi di Borges, l’oltreuomo-superuomo di Nietzsche.

L’elenco potrebbe infoltirsi non poco, ma qui importa vedere come tutte le fila superominiche si riannodino all’ombra dell’invenzione filosofica di un termine, psicologia, e di un desiderio in cerca di sempre ulteriori, anche immaginarie, incarnazioni. Non ultima la psicoanalisi, almeno nella sua prima, profetica, ispirazione. Invererebbe allora, la psicoanalisi, un desiderio della filosofia. La tradurrebbe, per così dire, in carne? Tradurrebbe sperimentalmente in carne l’oltreuomo? Scinderebbe l’uno in due, come fosse una rediviva, revenant costola d’Adamo?

Ma cosa sa del proprio desiderio la filosofia?

Cosa desiderano i filosofi?

Desiderano trovare la parola liberatrice, salvare il mondo, fare degli altri uomini altrettanti filosofi, farsi ponte per l’oltreuomo, partorire l’Übermensch, trapassare nuvole e generare fulmini?

Desiderano dimorare la bebaiotàte arché, il principium firmissimum di Aristotele ricordato anche da Hegel nelle sue lezioni su Eraclito?

Desiderano l’inizio radicale, la fondazione assoluta, il fundamentum absolutum inconcussum che ancora Hegel ritiene la filosofia abbia per la prima volta guadagnato con Descartes?

Desiderano acquisire quella mathesis universalis che spinse Husserl in direzione della fenomenologia? Entrare in una riflessione radicale in virtù della quale non il mondo abbraccia me, ma Io abbraccio il mondo? Traslare a quell’Io trascendentale che precede il mondo e lo distrugge per ricrearlo?

Desiderano farsi pastori dell’essere, starsene nella radura, nella Lichtung, giocare all’oltrepassare, alla Überwindung?

Desiderano che la filosofia (ri)diventi sophia? Oppure, dal momento che sono costitutivamente in ritardo sulla sophia (da cui li separa, tenendoli ad essa avvinti, appunto un anelito, un amore), desiderano l’episteme, il vantaggio dell’episteme, o la phronesis, il sapere mobile, il conversare con la contingenza, come direbbe il neopragmatista Rorty o, anche, il duellare con altri filosofi, ucciderli for the moment, procrastinando in questo modo troppo umano il proprio morire?

Desiderano essere sapere assoluto, l’assoluta trasparenza dell’origine? Il fatto è che, diciamolo all’origine di questo genealogico racconto, l’origine non c’è, l’origine è adesso. L’origine, potremmo aggiungere, è accidentale, fatta della stessa sostanza dell’anima. Come dirà Derrida, all’alba della sua frequentazione di Freud, è il ritardo che è originario, è l’irriducibilità dell’effetto ritardato, della Nachträglichkeit, a costituire la sua scoperta. Se il ritardo è originario, se l’origine è ritardo, nessuna origine appare per definizione dimorabile, a meno di pensare che lo stesso dimorare/creare spazio faccia origine.

Adesso Aristotele sta dicendo che l’anima non pensa mai senza immagine.

Adesso Bergson, ricostruendo la storia della metafisica e della psicologia alla luce della storia della memoria, sta dicendo che, per Aristotele, la memoria non appartiene al pensiero, ma all’anima. Dal che adesso deduce che l’anima conosce solo per accidenti, mentre il pensiero conosce per essenze, per relazioni logiche. Adesso Göckel sta inventando la psicologia.

E cosa desiderano adesso gli psicoanalisti, cosa gli psicoterapeuti? Cosa, ancora, i consulenti filosofici? Se c’è un significante primordiale, come ritiene Lacan, esso è già un rinvio, una differenza. E, allora, una prima risposta all’interrogativo riguardante il desiderio dell’analista la si trova nell’XI seminario (1964): quello dell’analista è desiderio di ottenere la differenza assoluta. Un modo, questo, di ritradurre il noi possediamo la verità annunciato da Freud a Ferenczi.

Dietro il preteso possesso della verità, come dirà Heidegger, c’è la disperazione. Ma i filosofi, aggiunge, non parlano delle disperazioni da cui sono perseguitati, quelle stesse che presiedono al fare analitico, senza che per questo gli analisti siano meno disperati o meno desideranti e meno desideranti senso. Husserl ha parlato dei filosofi come dei funzionari dell’umanità, io parlo degli psicoterapeuti come dei servitori della psiche. In questo modo ritengo si possa intendere/intenzionare la differenza assoluta.


 
Torna ai contenuti | Torna al menu