Lo psicoanalista en artiste - Giorgio Antonelli

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Lo psicoanalista en artiste

(in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 41, Napoli, Liguori, 1997;
ripubblicato in Origini del fare analisi, Napoli, Liguori, 2003)


Estratto



Non è necessario che lo psicologo diventi alla lettera artista e poeta. Deve soltanto vedere e parlare come se lo fosse. L'arte riposa essenzialmente sul fare. Tale fare si declina in prima istanza come vedere/comprendere e parlare. Un esempio, inaugurale, dell'operare en artiste si potrebbe derivare dalla rilettura hillmaniana della nozione che Michelangelo condivide con Ibn 'Arabi e Paracelso e che si nomina come «immagine del cuore». Sulla scorta dell'influenza platonica, e in concordanza con sufismo e tradizione alchemica, Michelangelo avrebbe indicato con tale espressione la subordinazione della percezione nei confronti dell'immaginazione. Riverberano di qui l'esse est percipi di Berkeley e la personizzazione di Hillman. L'immagine del cuore consiste in un modo altro del vedere. Lo psicologo en artiste pratica un modo altro del vedere. E la declinazione del suo fare non termina certo in questo vedere, in questa pratica di potenza.

Non è necessario che lo psicologo diventi alla lettera artista e poeta. Deve soltanto vedere e parlare come se lo fosse. Egli conosce e applica, vive e rende concreta, adesso, la lezione keatsiana della capacità negativa. Lezione che appartiene ai poeti, a Coleridge e Rilke ad esempio, e che potremmo definire afairetica. Vivere en artiste, nel comprendere come nel creare, scrive Rilke, significa «lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe di un sentimento dentro di sé nel buio nell'indicibile nell'inconscio irraggiungibile alla propria ragione e attendere con profonda umiltà e pazienza l'ora del parto di una nuova chiarezza», significa, scrive ancora Rilke, vivere ora le domande. Significa l'ethos del trascendimento, alla cui luce di rimandi/superamenti Jaspers ha interpretato Nietzsche.

Tutto s'inscena sempre e soltanto sostituto temporaneo della verità. Ma la ridda di sostituzioni guadagna senso, paradossalmente, soltanto a condizione che la verità disesista. Pensare che una verità possa emergere al di là di apparenze presunte ingannevoli, illusorie, immaginarie compone appunto l'aspirazione al deserto della psicoanalisi nascente. Rank, come s'è detto, provò a contestare quell'assunto. L'analisi è testo, scrittura. Pratica della differenza.

Anche la lezione di Pound può definirsi afairetica. Per arrivare al mot juste, infatti, occorre togliere, togliere aggettivi, condensare etc. Un po' come, sulla scorta teonegativa dello pseudoDionigi, Michelangelo ha concepito il farsi della scultura. L'impiego di un numero eccessivo di parole appare a Pound segno di incompetenza. I criteri che regolano la composizione guardano di conseguenza all'esclusione di quelle parole che occultano il significato o che non comunicano nulla di nuovo. Ma in questo togliere e togliersi di sostantivi e di aggettivi inutili è in gioco ben altro, il togliersi dell'Io stesso. Una manifestazione chiara di capacità negativa.

 
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