Ferite, tagli, traumi - Giorgio Antonelli

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Ferite, tagli traumi

(in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 51, Di Renzo, Roma, 2002)



Estratto

Per Ferenczi, almeno al tempo della sua elaborazione del concetto di anfimissi, lo spostamento dal basso verso l’alto declina i fenomeni di conversione e materializzazione isterica. È all’oscura luce di questo doppio, inverso movimento, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, che mi sembra possibile rileggere la vicenda della pianista.

Significativo mi sembra, soprattutto, il movimento ascensionale, vero asse portante lungo il quale la vicenda si snoda, movimento da leggere non nel segno ferencziano della materializzazione isterica, ma in quello dell’approdo a una verticalità che, come vedremo, significa anche l’uscita della pianista dallo stallo in cui la chiudono, come in un circolo, le sue orizzontali ripetizioni.

L’anfimissi riguarda una fusione discendente. La perversione ha sempre d’altro canto a che vedere con l’invivibile sofferenza di una separazione. La separazione è angoscia e appunto di questo si tratta nelle perversioni, di erotizzare l’angoscia e di mettere un agito al suo posto. La tesi di Edward Glover di un’erotizzazione dell’angoscia come fondamentale tecnica di salvezza nei perversi è stata rielaborata da Masud Khan insieme all’assunto di Freud della presenza di un lavoro mentale all’origine delle formazioni perverse.  

Nella vicenda della pianista si tratta dei due opposti modi del separare e del separarsi. Perché si dia un separarsi, un uscire, in altri termini, un abbracciare l’esterno, occorre che si ponga termine al separare assoluto. Nelle vicissitudini del separare e del separarsi ovviamente entra potente e prepotente l’imago della madre, una madre pensata al modo della Klein e cioè come il luogo interno in cui male e bene si combattono come draghi.

Sulla scena della perversione della pianista la separazione dalla madre potente, quella dentro la quale se ne sta inghiottito il padre, è insostenibile e dunque va mantenuta a costo di un separare assolutamente quel male e quel bene che dentro il corpo della madre sono in conflitto. Accogliere l’anfimissi delle due imago materne significherebbe la depressione, la perdita, la solitudine, la sofferenza là fuori. Dal momento che il reale è l’odio, l’anfimissi delle due imago comporterebbe un dover sostenere l’odio. Separare, dunque, significa deviare l’odio e, con esso, il reale.

Separare mantiene la pianista dentro quel corpo, il corpo-tutto, di madre al quale, come figlia, è furiosamente attaccata. È appunto nella misura in cui si pone al di qua dell’invivibilità della separazione che la pianista, propriamente, per-verte. È nella misura in cui quell’invivibilità non viene lacerata che la pianista lacera, per-verte il proprio corpo, rendendolo oggetto, luogo di ferite, di possibili, di proiettati, di perversi trascendimenti di un confine.

 
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