Resurrezioni minori - Giorgio Antonelli

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Resurrezioni minori
(in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 49, Di Renzo, Roma, 2001)
 



(ripubblicato in Origini del fare analisi, Liguori, Napoli, 2003)


Estratto

Se tre sono gli universi dispiegati da Dio, tre sono le (ri)nascite. La prima è la nascita dell'uomo sensibile (quella che Rank iscrive nel registro del trauma), la seconda è quella segnata dall'uscita da questo universo sensibile per resuscitare al mondo/intermondo dell'anima.

E' questo il movimento che s'iscrive nel barzakh. Lo stesso che già Ibn 'Arabî chiama la «resurrezione minore». E' qui che vanno collocati quelli che Rank chiama i fantasmi della seconda nascita. Così come Ade, anche il barzakh è luogo transitato da fantasmi, da esseri che appaiono, da "quasi presenze" che non hanno bisogno di appartenere alla nostra realtà, ai luoghi della nostra realtà, per esercitare effetti reali su di noi.

Ora, la mia ipotesi, il mio racconto, è che potremmo anche concepire di pensare la sospensione come dato ultimativo e l'eterno stesso come fantasia a partire dall'accesso a questo dato ultimativo.

Esisterebbero dunque, contro i neoplatonici di Persia, soltanto (il che certo non è poco) resurrezioni minori. Fa parte integrante della stessa ipotesi di fondo (ma senza fondo, in realtà) la considerazione che vuole queste resurrezioni essere attingibili in analisi, ma non necessariamente soltanto in analisi. Ed è anche in questo senso che impiego l'aggettivo «minore», a indicare cioè il carattere potenzialmente quotidiano di quelle resurrezioni. Psicologia delle resurrezioni quotidiane: di questo si tratta. Quanto accade in analisi non è, insomma, in linea di principio interdetto al quotidiano. Perché? Perché anche il quotidiano può essere squarciato dalle ragioni del metaxù, dal fiume sacro, intermittente, di Coleridge, dallo specchio del barzakh, dal risuonare del bardo.

C'è da chiedersi se, anche nel nostro eone cristiano, l'archetipo, per così dire, del luogo di mezzo, nelle sue connessioni con l'immaginazione, abbia fatto sentire la sua potenza. Corbin non sembra propendere per questa possibilità. Nella sua lettura i cristiani dualizzano e dunque dimenticano il luogo di mezzo. Descartes, come abbiamo visto, del tutto in armonia con questa, presunta, Weltanschauung cristiana, dualizza e dunque dimentica l'anima. La psicologia del profondo nasce esattamente là dove s'impone la necessità di un ritorno al luogo di mezzo. Ci sono stati gli gnostici, è vero. Questo Corbin non lo ignora di certo. La psicologia del profondo, del resto, appare un'incontrovertibile erede dello gnosticismo.

Anche in ambito ortodosso, tuttavia, si possono rilevare le tracce profonde del passaggio dell'archetipo. Valga su tutti l'esempio del breve, luminoso scritto di Ugo di San Vittore (XII secolo) De unione corporis et spiritus. Anche qui, apparentemente, si tratta di corpo e spirito. E, però, la loro unione avviene in un luogo terzo, che con Ugo di San Vittore potremmo pensare come, appunto, luogo unitivo, luogo misterico, luogo di coniunctio. A partire dal passo di Giovanni (Gv 3.6) sulla distanza tra carne e spirito, «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito», Ugo di San Vittore sostiene che non è possibile che lo spirito incontri il corpo e il corpo lo spirito, se ciò non avviene in un medium, in un luogo di mezzo, e questo medium corrisponde, anche secondo Ugo di San Vittore, all'immaginazione.

 
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