Per questo, continua Proclo, Socrate, dal momento che s'è compiutamente assimilato al divino, inizia a esercitare la sua provvidenza nei confronti dell'amato, Alcibiade, mediante il silenzio. Demone, secondo uno Sprachspiel di Platone, è colui che sa. Diciamo allora, impiegando altri termini, anzi, termini altri, che il demonico di Socrate s'assimila alla percezione che Alcibiade ha di Socrate come di un soggetto supposto sapere. Il transfert, perché di transfert si tratta, tra Socrate e Alcibiade, viene definito da Proclo con l'icastica formula «provvidenza senza relazione». La formula sta a significare un'operazione asimmetrica in virtù della quale l'inferiore si lega al superiore senza che il superiore faccia altrettanto con l'inferiore. Il legame che avvince l'inferiore al superiore, vale a dire Alcibiade a Socrate, reca appunto il nome di «provvidenza».
Provvidenza equivale, con Freud, e dopo le rielaborazioni del platonismo operate da Ficino e Bruno, al vincolo dell'amore. E' l'amore che cura. E' l'amore, infatti, che sa i tempi del racconto e i tempi del silenzio. Ma come agisce la provvidenza? Come un sole, irradiandosi. Nello scritto Sui raggi stellari, un testo che ha esercitato la sua influenza, tra gli altri, su Avicenna, Ruggero Bacone, Ficino, Paracelso, Bruno, un testo nel quale già si celebra la Wirklichkeit di Jung, l'autore, al-Kindi (IX sec.), immagina che tutti gli uomini si trovino all'interno di una rete invisibile, e potremmo aggiungere silenziosa, di raggi emanati dall'alto, dalle stelle e, dal basso, da ogni oggetto della terra. Ogni esistenza reale emette raggi. Il raggio, dunque, come l'amore per Bruno, è il vincolo dei vincoli. Così, quanto un uomo concepisce con l'immaginazione acquista esistenza nello spirito immaginale, il phantastikón pneuma di Sinesio. Lo spirito immaginale emette allora dei raggi che esercitano la loro influenza sul mondo esterno al pari della cosa di cui si è concepita l'immagine.
La realtà, dunque, non è Realität ma Wirklichkeit, è realtà di quanto agisce, è l'esse in anima. Anche in questo modo, soprattutto in questo modo, nel modo cioè della vis imaginandi, possiamo rileggere il transfert di Alcibiade nei confronti di Socrate. Il demonico di Socrate si manifesterebbe, seguendo questa chiave di lettura, come forza dell'immaginazione. Nel forte immaginare di Socrate il demone rinverrebbe un'accesso e una dimora in un mondo, questo, che si trova a uno scarto da quello immaginale, appunto, da quello demonico. E come dimora il demone nell'immaginare di Socrate? In silenzio. Socrate ci parla ancora della voce demonica, ma noi non l'intendiamo e, similmente, non l'intendeva chi gli stava vicino. E cosa sappiamo dei raggi di al-Kindi? Sappiamo, adesso, il loro silenzio.