3 La verità, la realtà e gli dèi - Giorgio Antonelli

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La verità, la realtà e gli dèi





Estratto

A ben guardare, a guardare in profondità, con occhi innamorati delle successioni storiche, Rank sembra inserirsi, in virtù di questo disprivilegiare la verità, in un filone di pensiero che ritiene forti analogie con l’equazione docetica dello gnosticismo. Nei miei studi sulla questione ho indicato nella psicologia dinamica e, in particolare, nella versione resane da Jung (la psicologia analitica), l’erede, per lo più in incognito, delle eresie docetiche. Per i doceti non il Cristo vero ma una sua immagine sarebbe entrata nella storia e un’immagine avrebbe dato mostra di sé e di un apparente dolore sulla croce. Nelle parole degli eresiologi la contrapposizione carne/immagine o verità/immagine o, anche, carne/ombra si ripete con disperata insistenza. Non si tratta, ripetono fino alla disperazione, di un’immagine di Cristo, non si tratta di un’apparizione, Cristo è veramente sceso sulla terra. Solo a questa condizione, pensavano i primi cristiani, quelli che dovettero misurarsi con gli gnostici, solo a condizione di una vera, carnale, corporea discesa di Cristo sulla terra, di una sua vera sofferenza sulla croce, è vera anche la resurrezione e si è resa possibile la salvezza. Se, tuttavia, Cristo stesso si è indicato come immagine (chi vede lui, infatti, vede il Padre), ciò sta a significare che la salvezza si dà immaginalmente, che ci si salva nell’immagine, non nella verità.


Se i cristiani credevano nel Cristo vero e i doceti si facevano beffe del fatto che, in luogo del Cristo vero, c’era un Cristo che solo appariva, si tratta, ridefinendo il loro irridente assunto, e contro le loro stesse convinzioni, di credere appunto nel solo apparire di Cristo, nel suo essere immagine, nel suo rappresentare lo statuto (salvifico) dell’immagine. La fede nell’immaginale i cristiani non potevano accettarla, dal momento che essa era ed è tale da destituire la trascendenza. Il modo rankiano di considerare il presente, ogni adesso della situazione analitica appare in connessione intima con questo modo destitutorio (nei confronti della verità) di considerare l’immaginale. In luogo della trascendenza, della verità, della pesantezza di trascendenza e verità, si dà la leggerezza delle successioni immaginali. Il terapetuta che coltiva il giardino del presente, della relazione presente, volutamente, sperimentalmente smemore della pesantezza di passati ancoraggi, pratica a suo modo un nominalismo delle immagini. Jung era, in ultima analisi, e prima di Rank, un nominalista delle immagini. Rank lo diventa col tempo. Si potrebbe anche dire che la sua rinascita, il suo venir fuori dall’utero psicoanalisi coincida con l’assunzione dell’atteggiamento nominalista.

In modo del tutto contrario ai Padri della Chiesa, per Rank la salvezza non si realizza dalla parte della verità. Come anche aveva argomentato Giordano Bruno, l’immaginazione non ha bisogno d’essere vera. Afferma anche il nolano in un suo scritto ante litteram sul transfert, il De vinculis in genere, che l’immaginazione è in grado di vincolare senza verità (Bruno 1986, 174). Nello scritto del 1929 su Verità e Realtà Rank sostiene che con la verità non possiamo vivere. Ciò accade, pensa Rank, perché la verità destituisce la realtà e il nostro rapporto con essa. Se ne deve dedurre l’esistenza di una relazione tra menzogna e salvezza? Forse. È forse a tale relazione che va dato il nome, un tempo inventato da Freud, di costruzioni. O dovremmo chiamarle, sempre con Freud, illusioni? Per Rank, che nell’ultimo suo scritto, uscito postumo nel 1941 e redatto direttamente in inglese, Beyond Psychology (Al di là della psicologia), uno scritto "al di là della comprensione della maggior parte degli psicologi", ha pensato un aldilà della psicologia, cioè la fine della psicologia, la fine di questa età compresa tra Nietzsche e Freud, la vita non potrebbe fluire senza illusioni. E le illusioni si nominano, nel suo pensiero, come arte, religione, filosofia, scienza.
 
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