Trans

Cosa hanno in comune Wagner e Cristo? Nessuno dei due è morto al tempo giusto. Così Nietzsche. Certo è difficile morire al tempo giusto. Lo scrive per lettera, Nietzsche, e lo scrive nello Zarathustra con l’aggiunta che quella dell’andarsene al momento giusto è un’arte. Una difficile arte, beninteso. Cristo è morto troppo presto. Sarebbe dovuto rimanere nel deserto. Avrebbe dovuto attraversarlo, trasformarlo in transito, in trans. Se avesse raggiunto l’età di Nietzsche, avrebbe di certo rinnegato il proprio insegnamento. Il cristianesimo è dunque il prodotto della morte prematura del suo profeta, del fatto che alla sua origine c’è una morte prematura, una morte non avvenuta al tempo giusto. Il deserto ha misurato la crisi di Cristo. E la crisi di Cristo non ha conosciuto trans. Nel deserto gli si è manifestato Satana. Si racconta che Satana lo abbia tentato. Momento critico per antonomasia. Lo ha tentato l’immaginazione. E, in Cristo, l’immaginazione ha tentato il cristianesimo tutto. L’immaginazione è crisi per l’eone cristiano, la sua temuta morte. Non sa morire il cristianesimo a sé per entrare nell’immaginazione. L’immaginazione è il suo trans.

Davanti all’immaginazione il cristianesimo non si comporta diversamente dall’Io. E cosa fa l’Io davanti alla tentazione dell’immaginazione? Esce dal deserto. Senza attraversarlo. Non vuole saperne del deserto oltre un certo limite. Non vuole morire l’Io. L’Io è l’istanza che in noi massimamente non vuole la morte. L’Io è in noi ciò che massimamente teme la crisi. Si stabilisce allora una diretta proporzionalità tra l’atteggiamento egoico nei confronti della morte e l’insostenibilità della crisi che sta trasformando l’occidente in una prolungata notte. La psicoanalisi, dal canto suo, se portata ai suoi estremi esiti, che sono di deradicazione di ogni appoggio, di annichilimento di ogni tentazione anaclitica dell’Io, conduce, trascina, costringe in un deserto. Il deserto è compiuta immagine di crisi ed è della stessa specie di questa l’altra crisi, malattia, scelta, giudizio, separazione, che vuole la costruzione di un giardino.

Ferenczi ha pensato a una modalità della morte che ha chiamato morte parziale. Quando si rende necessaria la morte parziale? Davanti a ogni nuovo adattamento, perché ogni adattamento corrisponde a una rinuncia a una parte dell’individualità. Proprio quello che una crisi richiede. Un trauma, la crisi, che vuole un adattamento e dunque una morte parziale. La nozione di morte parziale consente di concepire un discorso sulla differenza specifica di maschile e femminile. Diciamo allora che il maschile sa soffrire soltanto entro un certo limite (quello dei giorni di Gesù nel deserto, ad esempio) e dunque non s’offre oltre quello. Dei due gettati nel mondo è la donna a conoscere più morti parziali ed è dunque lei a sapersi adattare meglio. La differenza passa di qui. L’uomo sa adattarsi soltanto al mondo, la donna sa adattarsi al mondo e all’uomo. Le toccano dunque più traumi, più soffrire. Subire un trauma non significa altro che fare un incontro, anche parziale, con la morte.

Il principio femminile è elettivamente più vicino alla morte di quello maschile. Aggiungiamo che il maschile è consustanziale all’imperversare dell’Io e della sua ira. Né gli uomini, per ragioni di naturale simpatia, né le donne, perché l’anima non le risparmia, possono dirsene immuni. La crisi è globale perché l’Io globalmente contamina senza risparmiare nessuno e niente. Illimitatamente accumula, l’Io. Demiurgicamente. Non ha misura l’Io, pensa che nulla gli sia o debba essergli sovraordinato. Non c’è altro Dio nei sovracieli. Non c’è dunque crisi che non dipenda dall’Io. Ma cos’è l’Io? La sede dell’angoscia, diceva Freud, dunque un abitatore coatto della crisi. La crisi è la gola stretta, l’angustia dei passaggi, l’adesione obbligata ai confini. La crisi prospera a ridosso di una naturale propensione agorafobica. Ma l’Io è anche il complemento oggetto nel cui umbratile segno inizia la letteratura del mondo che tramonta. L’ira canta, dea significa L’Io canta, dea. L’Io è l’ira e l’ira è necessaria, come attraverso Aristotele ci ricorda Peter Sloterdijk. Senza l’ira non si può fare nessuna conquista. L’Io è anche il furore dell’estroversione. Marte che entra in gioco come se l’intervallo tra l’apparente nulla che precede la vita e l’apparente nulla che la segue, come se questo risibile intervallo fosse un continuo, estenuante campo di battaglia.