Uomini che uccidono donne

Dalla più articolata dotazione del principio femminile deriva una maggiore capacità di differenziazione, e dico capacità nel senso ulteriore di un saper far spazio, oltre che di essere spazio e, anche, vuoto. Di conseguenza là dove una data situazione cresce in complessità, a essa saprà meglio e prima adattarsi il principio femminile. A questo punto però Ferenczi riconosce la propria difficoltà a capire e parla di un dato di fatto che la psicologia non può spiegare in modo esauriente: l’affermazione del dispiacere. Com’è possibile che si voglia affermare il contrario del piacere? Com’è possibile che la passività sinonimizzi col piacere? Come spiegare psicologicamente il piacere altruistico? Solo l’uomo androgino soffrirebbe perché s’offrirebbe. Solo un uomo androgino sarebbe capace, affermando dispiacere, d’integrare il principio femminile. Solo per l’uomo androgino il primato andrebbe alla pulsione di conciliazione. Ma l’androgino, soltanto profetizzato, non c’è. Così come non c’è, se mai ci sarà, il superuomo. Due nomi questi, androgino e superuomo, per dire un immaginario non ancora.

In vista del non ancora disponiamo dunque di un dato inspiegabile: il saper far spazio al soffrire, la capacità di trauma, la capacità di suggestione propri del principio femminile. Si tratta di capire in quale misura il principio maschile rimanga indietro in relazione a questa velocità altra del femminile. Il diverso passo del femminile si nomina in un diverso modo del portare, introiettare sofferenza. Ciò Ferenczi lo mette in connessione con l’intelligenza, col sapere accogliere e trasmettere pensiero, con la suggestionabilità, la seduzione, l’intimidazione, la narcosi. L’intelligenza è il portato del traumatico, non si dà senza sofferenza, senza una maggiore esposizione al desiderio dell’altro (e dell’Altro). Senza sofferenza, senza esposizione non si trasmettono e ricevono pensieri. Dunque c’è un momento nel quale, nel portarsi dell’omicida sulla sua vittima, la vittima afferma dispiacere, ma l’omicida non sa più pensare, non sa trasmettere o ricevere pensieri e uccide. C’è un momento nel quale il principio maschile non regge la diversa velocità del femminile e, non accedendo all’esposizione, al trauma, al dare spazio, non introiettando ma affermando, e persistendo nell’affermare, solo sa trovare l’estremo immaginario sbocco nell’uccidere. La sofferenza il principio femminile sa portarla dentro. Sa trasformare l’estimica geografia della guerra in geografia dell’anima. Le ferite (narcisistiche) l’uomo, in virtù della dominanza del principio maschile, è molto meno capace di portarle dentro. Non sa per lo più portare la guerra di fuori dentro. Non sa trasformare l’estimità in intimità. Non possiede l’intelligenza che caratterizza l’affermazione del dispiacere.

Al principio maschile l’essere attraversato costa troppa sofferenza. Il fatto che per esso esista per lo più l’attraversare è d’altro canto percepito come fragilità dal principio femminile, dal momento che, rapportandolo a sé, lo vede mancante. Tale percezione è mirabilmente resa nella canzone Anche un uomo nella quale una donna spiega gli uomini a una ragazza, forse anche a se stessa, a quella parte immaginariamente ancorata a una percezione del maschile come promessa non ancora delusa. E, però, se si desse incastro, la storia presumibilmente finirebbe. Come si legge anche nei vangeli gnostici il momento in cui la donna diventa uomo coincide con l’entrata nel regno dei cieli e, per ciò stesso, con lo sterminio della terra. La donna della canzone consiglia la ragazza di maneggiare gli uomini con cura dal momento che, così argomenta ottemperando a un collettivo femminile sentire, essi sono tanto fragili. Si tratta qui di un vissuto che non può non esser correlato con l’autopercezione, sia pure oscura, da parte del principio femminile della propria potenza, una potenza fatta anche di un originario saper distruggere. Se l’uomo è fragile, ciò non può prescindere da una potenzialità distruttiva insita nel femminile. Non che la donna debba necessariamente saperne qualcosa. Lo dice splendidamente Charles Boyer a Ingrid Bergman in Arco di trionfo: Sei una donna pericolosa. Non ti accorgerai mai di esserlo.

Tanto anche può ricavarsi dallo scritto di Sabina Spielrein sulla distruzione come causa della nascita. L’istinto riproduttivo si compone di istinto di nascita e di istinto di distruzione. L’una, la nascita, non va senza l’altra, la distruzione. Il maschile può rispondere dall’alto o dal profondo della propria pulsione di affermazione opponendo potenza a potenza. Così facendo mantiene in essere la storia e, però, se questa opposizione di potenze viene portata a uno dei suoi esiti estremi, allora può deflagrare nell’uccidere donne. Accade per lo più che, prima della deflagrazione, la relazione sia rinviata a un permanente non ancora. Nel frattempo il rapporto sessuale, come argomenta Lacan, non c’è, e l’Anima può dispiegare, nella tensione del non ancora, tutta la propria astuzia. Movimento quest’ultimo che comunque mantiene maschile e femminile in relazione, movimento erotico insomma, informato al principio femminile e, nello stesso tempo, a un costitutivo venire meno dell’incastro, della complementarietà.