Morire prima di morire, morire dove regna Amore

Nel sogno apprendiamo l’entrata nella morte. Di tutte le cose che all’uomo possono essere insegnate su questa terra, una sembra proprio non poterlo essere: morire. Nessuno può insegnarci a morire e, però, dobbiamo tutti, prima o poi, apprendere a farlo. Nel sogno di Jung l’apprendimento avviene naturalmente, così come avviene naturalmente che una mamma ghiottone insegni al suo piccolo a nuotare. Tanto più che Jung considera la torre un grembo materno nel quale poter diventare ciò che era stato, ciò che era e ciò che sarebbe divenuto. Nessuno può insegnarci a morire. Presumibilmente soltanto un morto potrebbe farlo. Soltanto un morto, un fantasma che torni a visitarci dalla sua Totenland. Appunto questo avviene nella Totenland dei sogni, che i morti tornino a visitarci. Se tornano, possono insegnarci a morire. Non è del tutto vero quindi che nessuno possa insegnarci a morire. Sarebbe più giusto affermare che nessun vivo (nessuno soltanto vivo) può riuscirci. Nel sogno si dispiega la nostra notturna palestra di apprendimento della morte. Là dove impariamo a morire, possiamo anche pensare d’insegnare a farlo.

Di quella palestra di morte, tuttavia, Freud non vuole saperne. Non accetta di morire davanti a Ferenczi, che definisce “tragica” la sua incapacità di abbandono. E perché non sa abbandonarsi, Freud non può neanche apprendere a morire nel luogo da lui reinventato per noi, il luogo dove Ferenczi vuole che avvenga il suo apprendimento di morte: il setting analitico.

Freud arriva ad ammettere che la morte ha una radice psichica, ma dubita che l’analisi possa padroneggiarla. Non sembra così pensarla diversamente da quel suo illustre contemporaneo che ritiene non essere la morte un evento della vita e che, conseguentemente, non viviamo per fare esperienza morte. No, Wittgenstein, hai torto. Esattamente di questo si tratta nella vita, di morire molte morti, di fare esperienza del morire. Un’esperienza che sono certo tu abbia fatto e per la quale non hai trovato l’appropriato gioco linguistico. Perché tu non l’abbia trovato è facile dirlo: perché non esiste.

E, Aldo, anche tu hai torto. Hai torto quando scrivi che l’esperienza della morte è sempre indiretta, nel senso che si sperimenta la morte soltanto attraverso la morte dell’altro . Hai torto se pensi che la psicoanalisi abbia qui abdicato, abbia cioè lasciato ai filosofi di misurarsi con l’enigma dell’immortalità dell’anima e si sia, per così dire, limitata a quell’unica evidenza della morte che sembra concessa nella vita, vale a dire il dolore e l’angoscia che accompagnano l’elaborazione del lutto. Forse gli stessi psicoanalisti lo ignorano, ma la psicoanalisi ha reinventato per noi appunto un modo di sperimentare il proprio, riflessivo morire e lo ha fatto nel contesto di una doppia presenza: quella dell’analista e quella del quarto mortale dell’analisi.

E quella del paziente. Perché, una volta introiettato il rifiuto di Freud di farsi analizzare da lui, Ferenczi ritiene di dover sperimentare questo morire davanti a un altro. Lo fa in più di un modo. All’inizio si lascia rimproverare dai suoi pazienti. Lou Salomé non riusciva a comprendere questa deriva ferencziana e ne scriveva allarmata a Anna Freud. Non basta però l’esser fatto oggetto di rimprovero. L’essere trasformato anche in cosa. Sándor Rado, che sapeva la Bibbia Freud a memoria, riferisce di quando Ferenczi e la paziente Clara Thompson avevano vagato per le strade di Budapest in uno stato semidelirante, immersi nella più assoluta confusione. Non basta neanche l’entrata nella confusione. La flessibilità deve trascendere ogni confine. Se la psicoanalisi a un certo punto gli appare un confine, allora Ferenczi accetta di farsi analizzare da una sua paziente. Dopo di che, ovviamente, la morte per dissanguamento. Della stessa morte di Ferenczi era anche morta una sua paziente, Erzsebet Revesz, la moglie di Rado. A partire da quella morte, descritta nei particolari più intime a Groddeck, Ferenczi ritorna a nominare i propri sintomi e ne riassume l’intenzionalità nella formula volontà di morire.

Non si muore compiutamente se non si è sperimentato il morire davanti al volto di un altro. Sbaglierebbe allora chi pensasse che l’occidente non abbia ideato un proprio libro dei morti. Anche l’occidente ha il suo Egitto e il suo Tibet. Anche l’occidente ha il suo Libro dei morti: è quell’Interpretazione dei sogni di cui Hillman ha scritto la sequela. Ciò che il mondo esterno, il collettivo rimuove, come fosse un Io gigantesco, demiurgico, un arconte ignorante dei sovracieli, ritorna nel setting reinventato da Freud. E però, Freud, anche tu hai torto. Hai reinventato per noi quel luogo di sperimentazione suprema, lo hai cioè ritrovato sottraendolo al nascondimento delle sue origini, ma hai evitato di trarne tutte le debite conseguenze. Certo, Rank e Ferenczi hanno provato per conto loro a trarle quelle conseguenze, a estrarre il tuo resto, a nominare quello che in te è rimasto incompiuto. Meraviglia allora il fatto che siano stati tenuti così a lungo ai margini della psicoanalisi? Ai margini, certo, come altrettanti confini. Come eresie, cioè scelte di libertà, che la Chiesa psicoanalisi ha tenuto fuori illudendosi che la salvezza regnasse dentro.

Che Freud non abbia tratto le debite conseguenze, che si sia a un certo punto arrestato sull’onirica regia via, lo si comprende ad esempio da come ha giudicato quei sogni nei quali la persona morta viene prima trattata come viva, poi come morta e di nuovo come viva. Freud ha giudicato imbarazzanti quei sogni e, per togliersi dall’imbarazzo, ha pensato di cavarsela sostenendo che l’alternanza, nel sogno, di morte e vita è il modo in cui il sogno rappresenta l’indifferenza del sognatore nonché, a ridosso dell’indifferenza, la sua costitutiva ambivalenza. Se, però, Ade e Dioniso sono il medesimo, allora le cose non possono proprio stare come pensa Freud. L’alternanza che lo imbarazza va necessariamente presa alla lettera. Cosa dice il sogno al sognatore? Gli dice: tu non sei soltanto vivo, sei anche morto. Desidera insomma il sogno che il sognatore mai cessi d’esperire l’alternanza.

L’analisi può padroneggiare la morte? Freud pone la questione in termini di forte e debole, allo stesso modo cioè in cui concepisce transfert e controtransfert. Una volta posta la questione in questi termini, non può che rispondere dubitativamente. Rifiuta dunque di essere analizzato da Ferenczi. Accampa il motivo della vecchiaia. In realtà ignora che il setting sia sogno. Non vuole entrare nel sogno del setting. E non comprende quello che il suo interlocutore gli scrive in seguito e cioè che nel sonno e nel sogno i traumi vengono padroneggiati. Un’affermazione che Ferenczi ritiene già contenuta in quel testo controverso del fondatore della psicoanalisi, Al di là del principio di piacere, dove si fa questione dell’insistere di una pulsione di morte.

Ignora Freud che il setting sia sogno e che il sogno rappresenti, per l’Io, il senza confini. Il sogno è la libertà dell’Io dall’Io. La libertà di espandersi dell’Io. La libertà dell’Io di morire ai propri confini. Che è quanto anche intendo con l’espressione morire prima di morire. Il morire prima di morire, che lega il sogno all’amore, ha mancato di legare Freud a Ferenczi. Cosa significa infatti affermare che, nel sonno e nel sogno, i traumi vengono padroneggiati? Non certo che l’analisi padroneggi la morte. L’analisi non è padrona della morte, la morte è padrona dell’analisi. Significa allora che la morte diventa dimorabile là dove regna il senza confini, luogo impossibile per l’Io in quanto tale.

Il luogo dove si rende possibile morire prima di morire è lo stesso che Freud aveva iniziato a pensare nelle specie del processo primario. Sua qualità costitutiva è ignorare il no e suo è lo spettacolo del venir meno dei confini. Se il sogno ignora il no, gli opposti si convertono. Vigendo nel sogno la conversione dell’opposto, morire è lo stesso che vivere. Un luogo insostenibile per l’Io. Il luogo che chiamo coscienza tutta dispiegata. Il luogo dove l’inconscio diventa accidente. Il luogo dove la morte si curva. Il luogo dove regna Amore.